Mi sto preparando per il prossimo colloquio di Ariele, Il coraggio del futuro, in cui condurrò insieme a Elisabetta Pasini il Workshop Apprendere l’innovazione dai giovani il prossimo 22 ottobre. La ricerca in rete mi ha condotto a questo bell’articolo di Carmen Leccardi che riflette su come cambia la concezione del tempo e della progettualità nell’età dell’incertezza.
Poiché “il futuro è lo spazio per la costruzione del progetto di vita” (p.1) cambiano molte cose se cambia la nostra concezione di futuro. Infatti quando l’incertezza supera una certa soglia e citando Luhman, il futuro non ha più solide radici nel presente, allora fare progetti produce molte difficoltà. Il futuro si costruisce come una sequenza di eventi casuali che rendono sempre di più difficile portare a termine i progetti così come li abbiamo costruiti. Il superamento delle condizioni di certezza e prevedibilità (figlie della prima modernità), comportano una radicale revisione dei modi attraverso i quali noi costruiamo la nostra vita personale e professionale. Il futuro scompare, e si espande il presente che diventa il luogo in cui il soggetto compie un’esperienza che si autoregge: “ora ci si aspetta che (i periodi di tempo, ndc) traggano il proprio senso, per così dire, dall’interno: che si giustifichino senza alcuni riferimento al futuro o con riferimenti soltanto superficiali” (p.3). La citazione di Bauman conduce all’idea che per i giovani e per tutti noi il tempo si costruisce come una sequenza di eventi casuali che si assommano e acquisiscono senso solo attraverso una visione retrospettiva, che li unisce in una narrazione rivelatrice di significati. Appare chiara la “consunzione dell’idea di progetto” (p. 6) con il venir meno della continuità temporale.
Ho riflettuto su temi molto simili quest’estate in occasione della Festa della Scuola Coop, quando ho conversato con Alberto De Toni. All’autore dell’ottimo Auto-organizzazioni ho chiesto cosa ne pensava delle Leaderless Organization, il tema che ci sta a cuore in questo blog. La novità – dichiara De Toni – è rappresentata oggi dall’emergenza dal basso. Le organizzazioni nella complessità generano nuove energie ed opportunità dalla combinazione imprevedibile di risorse, anche alla base della piramide. Viene meno l’idea della progettualità organizzativa solo come processo top down: l’emergenza dal basso è generatrice di progettualità per così dire istantanea.
Il nuovo management deve imparare come gli adolescenti della Leccardi alle prese con un gelato, a concentrarsi su un’area temporalmente limitata per imparare a vivere il tempo come campo unificato soggettivamente controllabile. Le mete distanti temporalmente sono irraggiungibili ed è preferibile una visione di breve che consente di vivere le situazioni come chance più che come impedimenti. Pragmatismo, umiltà, apertura sono le doti che il mondo nuovo andrà premiando.
#1 di Lorenzo Sartini il settembre 29, 2011 - 4:42 PM
Sto facendo una ricerca sull’incontro tra istituzioni pubbliche che si propongono di collaborare con un fine comune: la ricerca è partita dal fatto che queste istituzioni pubbliche volevano organizzare, ciò che è poi stato fatto, un Centro di Aggregazione co-gestito (cogestito da queste istituzioni e dai frequentatori). Ho avuto occasione di intervistare un ragazzo che, poco più che ventenne, si era adoperato molto per realizzare progetti all’interno del Centro e, effettivamente, mi sto facendo l’idea che i progetti che si fanno vengano “consumati”. Viene avvertita la necessità di qualcuno (l’operatore del Centro stipendiato da una delle due istituzioni) che crei le condizioni affinché il progetto che si ha in mente possa essere realizzato. E dunque fatto un progetto, sotto con un altro; non sentendosi però vincolati al luogo (e agli altri frequentatori). Si sviluppano competenze ma non si allacciano rapporti (estremizzando). Si pretende però che l’Altro, l’autorità, ci sia ed anche ben presente!
#2 di Paolo Bruttini il settembre 30, 2011 - 9:15 am
Io faccio il consulente e vivo spesso la stessa dinamica coi clienti. I progetti si succedono e a volte sono scollegati gli uni dagli altri. Il sistema tende a isolare chi si ribella a questa logica, come si vede in questa bella vignetta di Dilbert. La progettualità diventa un rito aziendale a cui è difficile sottrarsi. Cosa intendi in vece sul tema dell’autorità ben presente?
#3 di Lorenzo Sartini il settembre 30, 2011 - 9:51 am
Ciò che sembra emergere dall’intervista di questo ragazzo (ora ventinovenne) è la forte richiesta, forse la necessità, della presenza di qualcuno che crei le condizioni affinché il progetto possa essere concretizzato. Questo qualcuno, nel caso specifico, era appunto l’operatore del Comune che aveva il compito di “controllare” il Centro, e dunque organizzare la frequentazione ed il comportamento dei ragazzi così come pensare alla manutenzione degli strumenti persenti all’interno. Una volta cambiato l’operatore, avendo il nuovo “meno polso”, come riportava l’intervistato, ecco che diventa difficile organizzare progetti: “si tende ad una democratizzazione troppo spinta, cercando di dire sì a tutti” è un’altra citazione dall’intervista. Si frequenta il Centro per il progetto in sé e non per la possibilità (o il desiderio) di allacciare relazioni: se non si creano vincoli con gli altri ( i fratelli/pari) si deve far ricorso alla presenza dell’Autorità (paradossalmente accusata di essere troppo democratica) affinché crei le condizioni per farmi progettare.
E’ con l’attivazione di vincoli con i pari, invece, che si potrebbe aprire, sì, la possibilità di pensare ai propri progetti ma anche di creare le condizioni affinché si possano realizzare: l’autogestione.
Molto carina la vignetta!