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Fuori dal Medioevo sulle onde del 2.0

Una cronaca dall’International Forum on Enterprise 2.0 del 10 giugno, Milano, la più grande conference sul 2.0 dopo quella di Boston.

Inizia Emanuele Scotti, di Open Knowledge, affermando che il 2.0 è una vera Rivoluzione, come quella iniziata da Cristoforo Colombo e che portò alla fine del Medioevo. Come allora, i sentimenti diffusi sono dissonanti: da una parte senso di crisi, paura, dall’altra fiducia, desiderio del cambiamento. Come nel 1492, cambiano le convinzioni, le mappe, i percorsi.

Si parla di tecnologie ma scopro presto, con certo sollievo, di non trovarmi tra gente che parla in codice: qui si discute di business, social business, della società stessa. La nascita di collaborative enterprise fa emergere come core competence la relazione. Sono geek che parlano di “engagement, not data”. In accordo con una visione meta-tecnologica dei fenomeni attuali, l’enterprise 2.0 (E2.0) è vissuta non come soluzione, ma come set di capabilities and technologies in grado di incrementare le possibilità creative. L’E2.0 va a integrarsi nel flow dei pensieri e delle pratiche, entro reti e correnti di energie vive, umane.

All’E2.0Camp, la conferenza destrutturata ospitata all’interno del forum, sono presentati i progetti più vari (di moda, microcredito, gestione del quartiere… a testimoniare come il 2.0 -che i mass media se ne accorgano o meno- sta invadendo e aumentando la realtà), accomunati dall’esperienza di una tecnologia che è sì una commodity eccezionale, ma ciò che conta è un’idea forte.

Perché quando si fa del 2.0 si attivano persone, non solo tecnologie. Si attivano relazioni di co-creazione basate su conversazioni autentiche. Il vero sharing è uno storytelling, un coinvolgimento del cliente (partner, prosumer, peer) nella narrazione di ciò che accade e ciò che vogliamo accadrà (cfr. con narrativizzazione dei social media).

Vendere, nell’era del 2.0, è sempre più creare esperienze (digitali o meno) memorabili, condivisibili: è il solo modo affinché esse vengano condivise, rilasciate in ambienti organici, imprevedibili, perciò innovate. Ciò che viaggia in ambiente 2.0, ci ritorna aumentato. Ecco cos’è il viral marketing: il virus che prende (senza eccezioni) ogni organismo è l’emozione, il sogno lucido di una collaborazione possibile: “engagement, not data”.

Ciò apre un nuovo campo di interpretazioni dei sogni. Se intelligenza collettiva esiste, è perchè emerge una capacità visionaria collettiva, connettiva, sinaptica. L’utopia è quella di co-costruire il futuro, farne parte, non essere semplici spettatori. Una creazione che non ha più necessità della mediazione e del giogo della gerarchia. Il 2.0 è una condizione mentale ancor più che un progresso tecnologico.

“Navigare”, verbo principe del web -e spesso inteso come cazzeggio senza meta, intrattenimento- assume ora un significato carico di possibilità e di responsabilità: quello di scoprire nuovi territori della interazione umana, delle possibilità collaborative che la cultura industriale censurò in favore del consumo personale. Fuori da questo Medioevo, il 2.0 è un’occasione più che ri-creativa: qui si crea il futuro.

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