Che cosa ha di speciale Charlene Li, osannata nuova Guru della Social Enterprise, 50.000 follower su twitter, speaker nella prossima edizione del World Business Forum e autrice del volume Open Leadership, uscito negli Usa lo scorso anno?
Con un titolo così appetitoso, mi sono buttato nella lettura delle oltre 300 pagine uscendone però con la sensazione dell’ennesimo testo a tesi, ben documentato ma tutt’altro che exciting. Di leadership tutto sommato se ne parla poco, semmai si parla di management e di come questo debba cambiare con le tecnologie social. Il fatto che il leader debba essere “autentico”, “trasparente”, “catalizzatore” lo possiamo considerare anche interessante, ma probabilmente non così semplice specie in culture diverse da quella anglosassone. Provo spesso questa insoddisfazione leggendo i volumi sulla social enterprise o il management 2.0. Mi sembra sempre che si tocchino gli aspetti marginali del problema e si tardi a focalizzare cosa c’è realmente di nuovo. L’arrivo di Charlene Li in Italia per un ciclo di conferenze il 31 maggio scorso poteva aiutarmi? Ho partecipato al suo seminario e ho avuto una sorpresa.
“Il fallimento è inevitabile, bisogna diventare maestri nell’arte del fallimento”. Questa frase echeggiata circa a metà della conferenza è stata un pugno nello stomaco.
Probabilmente non solo per me, ma anche per quella platea di manager e specialisti presenti, nonché per tutti i pubblici che Charlene incontra in giro per il mondo. Il richiamo di Charlene a “non temere di perdere il controllo” e ad aprirsi, costruendo una open organization, ha una profonda implicazione personale. Non temere il fallimento poiché questo rappresenta l’altra parte, spesso rimossa, del successo (“Fail fast, fail smart” pare che sia il mantra in Google) è l’apprendimento che ho portato a casa. Il fallimento è doppiamente importante perché : 1) se non si rischia, innovando, oggi non si sopravvive. Se si innova è inevitabile anche che si fallisca. 2) il fallimento è un’occasione per imparare, soprattutto per chi ha fallito. Dunque si tratta di concepire il fallimento in modo diverso. Non è più un sintomo di perdita e di mancanza, ma una condizione necessaria per sopravvivere.
Tornando a casa, con la usuale sincronica coincidenza ho aperto il volume Governare l’inatteso di Weick, che reclamava le mie attenzioni da qualche mese. Nel capitolo quarto si parla di contenimento: un’azione necessaria laddove falliscano la previsione e l’anticipazione. Il contenimento previene esiti indesiderati dopo che un evento inatteso ha avuto luogo. L’organizzazione deve imparare ad essere rapida e mindful per reagire a situazioni impreviste. Insomma, traduco, il fallimento ci può essere e non ci deve spaventare. Ciò che conta in fabbrica, nei mercati, in rete è la capacità di reagire.
Adesso alcune domande ai lettori. Vi è mai capitato di fallire? Cosa avete provato? In definitiva è cambiato il vostro modo di vedere le cose a seguito di quel fallimento? Oggi lo considerate ancora così negativo?
#1 di elipasini il luglio 11, 2011 - 7:50 am
Caro Paolo, credo che il fallimento sia molto importante perchè è la sola cosa che ti permette di superare la paura e di accettare il cambiamento. E’ vero che noi siamo culturalmente molto impreparati ad accettare il fallimento, ma proprio perchè abbiamo paura di perdere tutti i nostri privilegi. J.K. Rowlings, la creatrice di Harry Potter, in una sua bella lectio magistralis di qualche anno fa, parla del fallimento e della possibilità di imparare dalle proprie fragilità, e non a caso il suo personaggio cresce proprio grazie alla sua capacità di vincere le sue paure. Da ultimo, una citazione del mio maestro di yoga Giò Fronti: ci sono solo due grandi pericoli per un guerriero, l’autocommiserazione e l’autocompiacimento.
#2 di Paolo Bruttini il luglio 11, 2011 - 11:06 PM
Harry Potter, però sa di essere un predestinato. I suoi fallimenti sono tappe di un destino che deve compiersi e che quindi contiene una speranza . Non credo che molti di noi invece abbiano la certezza di essere predestinati. E’ questo che rende il fallimento drammatico, il timoro che la depressione, come un vortice, possa trasinarti vero il basso, un buco profondo. Senza luce.
Questa è la novità. Poi è vero che i giovani imprenditori della silicono valley hanno introiettato il valore del fallimento, però solo loro. I miei dirigenti bancari ed i tuoi marketing manager continuano a credere che il fallimento si aun virus letale da cui sfuggire a tutti i costi. Ad esso preferiscono l’inazione.
Quanto al maestro di yoga, niente male.
Ho trovato la frase che Jung aveva scolpito con le sue mani sulla porta della sua casa di Zurigo: “Vocatus, atque non vocatus, Deus aderit”. Evocato oppure no, alla fine Dio sarà qui. Bella vero?
#3 di annamaria rigoni il luglio 18, 2011 - 3:20 PM
Tutto bello, tutto vero, ma le parole hanno un peso. In Italia (e credo anche all’estero) un Fallimento è anche un procedimento giuridico che porta con sè il pignoramento dei beni quali la casa (lasciano solo i mobili della cucina e della camera da letto), l’automobile, ecc. Inoltre un Fallito, si troverà nell’impossibilità di restituire prestiti, avrà difficoltà nel mantenere i figli, ecc. ecc.
Una volta c’era anche la prigione per debiti, oggi alcuni piccoli imprenditori si suicidano.
I dirigenti bancari hanno ragione ad aver paura del Fallimento.
Forse bisognerebbe aiutarli a distinguere il Fallimento (lettera maiuscola) dal fallimento (quello con lettera minuscola, che ci capita un po’ tutti i giorni)
Anche Pagliarani diceva che bisogna prendersi cura delle paure dell’altro.
Citazione di Gertrude Stein: una Rosa è una Rosa è una Rosa, le parole non sono solo parole.
#4 di Paolo Bruttini il luglio 20, 2011 - 6:15 am
E’ proprio questo che mi ha colpito. Ho una formazione economica, mio padre era un dirigente bancario. Per me il fallimento ha sempre avuto un’accezione negativa, molto negativa. Lavorando come consulente ho notato quanto sia vero anche per altri che lavorano nelle imprese o nelle istituzioni. La nostra società è meno dinamica di quella statunitense e probabilmente anche questa concezione positiva del fallimento è una delle innovazioni del mondo 2.0
#5 di Cecilia il luglio 19, 2011 - 11:41 am
Ciao Paolo! Forse sarà scontata come frase, ma io la tengo sempre presente nella mia mente:
“La vera saggezza non sta nel non cadere, ma nell’imparare a rialzarsi”.
Anche se per cadere basta un attimo, mentre per rialzarsi a volte non basta una vita………
#6 di Paolo Bruttini il luglio 20, 2011 - 6:37 am
Non è scontata. La uso nei corsi sulla leadership ed il cambiamento. Per la prima volta l’ho sentita dal mio collega ed amico Massimo Lugli, che fa letteralmente cadere e poi rialzare i partecipanti in un faticoso esercizio. Con la ripetizione il corpo impara ad essere elastico. Diminuisce l’impatto e rende più veloce la ripresa. Il corpo ci insegna la stessa cosa
#7 di Ernesto. il agosto 4, 2011 - 3:58 PM
“La vera saggezza non sta nel non cadere, ma nell’imparare a rialzarsi”.
chi l’ha detta Scajola?
#8 di Gianluca Greco il febbraio 19, 2012 - 1:28 PM
Sapere di poter fallire credo significhi trovare un punto di vista più oggettivo sull’ottimismo che p chiamato a governare le sfide e vincere la paura dell’ignoto. Se il fallimento è la strada per il successo, occorre appunto fallire subito e in modo intelligente, perchè il rischio è di non rialzarsi più. Essere elastici ma quanto? E con che risorse e vincoli? Quindi meglio preparare un piano per il fallimento (e siamo nel crisisi management) e porsi nell’ottica della valutazione e del controllo del rischio come fanno gli internal auditor. Quindi non credo sia un approccio totalmente innovativo, ma forse solo una sua più chiara riedizione
#9 di Paolo Bruttini il febbraio 19, 2012 - 11:11 PM
Grazie Gianluca, sono d’accordo con te. Recentemente intervistato un noto imprenditore di Reggio Emilia (un grande innovatore che ha 14 sedi all’estero e un bella fetta del mercato mondiale nel suo settore). Mi ha sorpreso dicendomi lui stesso che il fallimento ha un valore intrinseco, che dobbiamo imparare a considerare. Anche Chambers il CEO di CISCO, pare selezioni i collaboratori chiedendo loro di parlare dei fallimenti che hanno incontrato. Ragionare su scenari, controllare i rischi sono tecniche giuste e importanti. Ma alla base serve un mindset che porta a vedere il mondo con occhi nuovi.
ciao
#10 di Marco Bicocchi Pichi il febbraio 26, 2012 - 9:33 PM
Da qualche anno (2008) ho lasciato la vita di dirigente ed ho iniziato il mio percorso di imprenditore e business angel. Il tema del successo è della definizione del successo è stato ed è un confronto continuo con me stesso . Per me è stato molto bello leggere questo discorso del grande professor Clayton M. Christensen: http://hbr.org/2010/07/how-will-you-measure-your-life/ar/1
Nella mia vita ho imparato a reagire alle discontinuità fin dalla scuola per seguire nella vita lavorativa. Sinceramente credo che la definizione di fallimento abbia a che fare con: obiettivo mancato, cambiamento di piano, difficoltà da affrontare diversamente, necessità di cambiare approccio, errore od errata valutazione, molte volte con la fedeltà ai propri principi e con il coraggio di provare. Penso che invece molto spesso nella mentalità Italiana si considera la deviazione dalla norma in termini di colpa, il coraggio di provare un azzardo, la resistenza all’arroganza del potere una follia. Molte volte è la mancanza dello spirito liberale e quindi il servilismo e lo stare “al proprio posto” che fa agire da clientes. Il “successo” dell’essere clientes da contrapporre al “fallimento” di chi con la propria libera determinazione prova a trovare la sua strada. (Esempio di “successo”: Belsito: http://www.giornalettismo.com/archives/205929/il-leghista-che-sinventa-la-laurea-e-guida-senza-patente/)
Non molti sanno cosa scrisse Carlo Rosselli ” Esso (il liberalismo) concepisce la libertà non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà.” ma pensano solo al nome di una Via o Corso della propria città.
Per apprezzare il fallimento occorre uno spirito liberale, il rispetto del merito, e la fedeltà ad un imperativo morale. Se in una comunità il successo si misura solo in denaro e potere – in qualunque modo guadagnato od ottenuto – non c’è spazio per la libertà e la libertà di provare, fallire e riprovare nell’esercizio della propria ricerca della felicità.
“We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness—-That to secure these Rights, Governments are instituted among Men, deriving their just Powers from the Consent of the Governed, that whenever any Form of Government becomes destructive of these Ends, it is the Right of the People to alter or abolish it, and to institute a new Government, laying its Foundation on such Principles, and organizing its Powers in such Form, as “to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness.
#11 di Paolo Bruttini il marzo 4, 2012 - 10:10 am
Grazie Marco del bellissimo commento. Scusa per il ritardo nell’approvazione poiché un’influenza stagionale mi ha fatto tardare in molte cose, anche nella gestione del blog. Mi piace molto la frase di Carlo Rosselli che mi fa vedere questo positivo accostamento tra spirito liberale e fallimento, come esito di un personale percorso di ricerca. Faccio il formatore ed anche la scorsa settimana parlando in un convegno ho sostenuto l’importanza del fallimento come valore istituente di questo nuovo tempo che stiamo attraversando. SI tratta dopo tutto di di credere a quei valori di meritocrazia, autonomia, imprenditorialità a cui fai riferimento e di cui, attraverso le tue scelte, sei portatore. L’effetto che produce sui manager che mi ascoltano è sorpresa, rifiuto, curiosità. Con le mie parole (le nostre), diamo un piccolo contributo nel costruire un modo nuovo di guardare le cose, dopo questo lungo inverno della ragione.
Mi auguro di ospitarti ancora su queste pagine.
#12 di Marco Bicocchi Pichi il marzo 4, 2012 - 6:21 PM
In uno dei suoi libri Pierluigi Celli scrive un ragionamento in merito alla differenza tra la biografia – storia di una vita che comprende passi laterali, indietreggiamenti, successi ed insuccessi – ed il curriculum che segue una via lineare di avanzamento e progresso continuo tipico della “carriera” e di solito costruito. Sarà interessante quando (se) per farsi scegliere si metteranno in enfasi gli insuccessi (e quanto appreso e la reazione ad essi) anzichè abbellire od inventarsi i successi.