Reti e Rizomi… se le radici non piacciono ai nomadi…


“Noi che siamo senza dimora […] Noi proviamo disapprovazione per tutti quegli ideali che potrebbero portare qualcuno a sentirsi a casa propria persino in questo fragile, frammentato
periodo di transizione. […] Noi che siamo senza dimora costituiamo una  forza in grado di spezzare il ghiaccio e tutte le altre “realtà” troppo sottili.”

Friedrich Nietzsche

Il mondo in cui viviamo oggi appare rizomatico o addirittura schizofrenico, tanto da richiedere, da un lato, teorie della rootlessness – ovvero dell’‘assenza di radici’ –, dell’alienazione e della distanza psicologica tra individui e gruppi, dall’altro, fantasie (o incubi) di ubiquità elettronica”.

Arjun Appadurai, Disjuncture and difference in the global cultural economy, in Patrick Williams
and Joan Scott, eds., Colonial Discourse and Post-Colonial Theory, New York, Columbia University

“La parola d’ordine, diventare impercettibile, fare rizoma e non mettere radici” Deleuze Differenza e Ripetizione, 1968

Molti oggi parlano di un neo-nomadismo, dato dalla crescente mobilità permessa dallo sviluppo dei mezzi di trasporto, dalla possibilità di comunicare in ogni parte del globo ma anche da un atteggiamento attivo degli individui. Come sempre c’è chi è “costretto” a spostarsi, dalla mancanza di lavoro o per motivi politici, ma la fuga, il dislocamento spaziale non sono da considerarsi atteggiamenti passivi. Il biologo francese Henri Laborit sosteneva che la fuga è uno dei mezzi possibili per sottrarsi al dominio, per mantenere la condizione necessaria all’essere che è agire. Sottrarsi all’immobilità, alle gabbie fisiche e culturali attraverso il movimento.

Sto vedendo nei miei continui spostamenti che di fuggiaschi è pieno il mondo. E’ un fenomeno che si verifica da tempo. Il nomade, il vagabondo, il pellegrino sono sempre esistiti ma mutano la loro forma con lo scorrere del tempo. Oggi il vagabondo ha con sè un laptop, uno smartphone o quantomeno sa come usarlo e vaga in cerca di wi-fi spots per rimanere in contatto con la rete che va disseminando nei suoi spostamenti. Sembra che Starbucks rappresenti oggi il punto di incontro privilegiato per tanti girovaghi grazie alla libera e potente connessione offerta da questa catena della ristorazione e al costo relativamente economico di una tazza di cafè o di un donut. Sembra che rappresenti il luogo ideale per lo startup di nuovi progetti internet-based e forse un giorno potremo leggere sull’agenda “meeting 11 a.m. @Starbucks Barcelona”.

Amicizie e affetti, offerte di lavoro, trasferimenti bancari, il tutto a portata di click, anche per chi non ha una presa telefonica piantata nel muro di casa, anche per chi come me una casa non ce l’ha. Per alcuni è il viaggio, per altri un meeting di lavoro, per molti ancora la ricerca di una dimensione nuova grazie all’incontro con il nuovo e il diverso. La dimensione esistenziale di questo stile di vita poggia sulla mancanza di radici (rootlessness) degli individui. Credo che si possa parlare più correttamente di un tipo diverso di radici. Non più radici che vanno verso il basso, in profondità, ma radici che si estendono lungo la superficie (i millepiani direbbe Deleuze) connettendo punti dello spazio lontani tra loro, rendendo più piccolo il Mondo. L’uomo ha creato la rete e come un ragno si muove lungo i suoi nodi ampliandone l’estensione e facendo manutenzione, chissà, forse per catturare un pesce grosso o forse solo per il gusto di scoprire che si può aggiungere un nodo, un volto, un luogo alla propria memoria e al proprio presente.

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  1. #1 di elipasini il luglio 19, 2010 - 9:23 am

    Hi Fabio, hai proprio toccato un nervo scoperto nella mia vita…. roolessness, rizomi, Deleuze, Guattari, Nietzsche, e tanti altri ancora che costituiscono una mitologia e un immaginario del nomadismo composito e affascinante.
    In realtà c’è una differenza propfonda tra il nomade e il viaggiatore (o vagabondo, esploratore, se preferite): la vita del nomade è fatta di corsi e ricorsi, di viaggi di andata e di viaggi di ritorno, di migrazioni successive. Non c’è nessuno che ha radici più forti del nomade con il territorio, forse perchè è abituato a lasciarsele alle spalle e le alimenta costantemente con la nostalgia. Ed è dalla nostalgia, dall’impossibilità di sostare e dalla necessità del movimento che si alimenta il rapporto con il mondo. Per questo, è necessario portarsi dietro il meno possibile: gli oggetti, ma anche la memoria a volte, sono un pesante fardello…. questo è tutto quello che mi viene in mente adesso, in questa isola del mediterraneo, Pantelleria, dove tutto viene per forza ridotto al minimo indispensabile e anche il collegamento con la rete è un lusso :))))

  2. #2 di fabiobrunazzi il luglio 19, 2010 - 5:57 PM

    Interessante Eli, la nostalgia come emozione del nomade, unita all’eccitazione della scoperta. Vincere la forza glischrocarica dell’oggetto (persone e luoghi) e mantenere un’identità personale e di intenti. Questa mi sembra un sfida forte, tenere dentro di sè le situazioni simbiotiche positive ma concedersi uno spazio di scoperta, quindi apprendere.
    La nostalgia di ognuno diventa quindi lo strumento per mappare retrospettivamente il percorso di vita..
    Mi sorge una domanda: che nostalgie porti con te mentre ti rilassi nell’isolata e stupenda Pantelleria?

    • #3 di Elisabetta il agosto 2, 2010 - 9:50 am

      Ciao Fabio, vedo solo ora la tua controrisposta, adesso che Pantelleria è solo un ricordo, anche se ancora molto vivo.
      Pantelleria è un’isola con un forte carattere, forse perchè la mancanza di spiagge l’ha preservata dal turismo di massa, o forse perchè da sempre è stata un punto di incontro tra Africa e Occidente – le uve dello zibibbo che danno un meraviglioso passito vengono da Alessandria d’Egitto, e i nomi hanno spesso una radice araba -. Sta di fatto che si respira laggiù un’aria particolare, che in qualche modo ti fa venire voglia di restarci, o almeno di provare a restarci per un pò. Ho incontrato ragazzi che avevano fatto questa scelta di vita e la loro serenità e sicurezza mi ha fatto pensare, io che mi sento una “city girl”, che forse possono aver ragione.
      Quale nostalgia dunque? quella, forse, che ti può ispirare un mondo a parte, dal quale siamo stati irrimediabilmente staccati molto tempo fa, con ritmi e cadenze che non sono quelli che conosci ma quelli in cui potresti avere la possibilità di entrare; e tutto questo, forse, può aiutarti a ristabilire qualche priorità.
      Nostalgia delle isole, non dell’isolamento…..

  3. #4 di fabiobrunazzi il agosto 13, 2010 - 1:35 am

    Adesso che sto provando a lasciare le “mie isole” dovrò affrontare questo nuovo sradicamento. E che avrò nostalgia di un luogo così magico.
    Capisco benissimo chi sceglie un posto come Pantelleria, così come vedo con sospetto chi dice “io mai” non potrei vivere su un’isola. E’ da provare. Di cosa abbiamo realmente bisogno poi?

    Vediamo, potremmo incontrarci a Milano in Settembre, forse per poco, ma di lì devo passare.

  4. #5 di vilma torselli il aprile 11, 2014 - 12:59 PM

    mi sono permessa un link in questa mia pagina, spero tu non abbia nulla in contrario
    http://www.artonweb.it/architettura/articolo63.html

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